Enid Grace Kingstone non esiste e così la sua famiglia.
Tutto quello che viene riportato su queste pagine virtuali, quindi, non è realmente successo.
È frutto della fantasia di un gruppo di players che si divertono.
Dove?
Qui

martedì 23 giugno 2015

All this and heaven too

And the heart is hard to translate
It has a language of its own
It talks in tongues and quiet sighs,
And prayers and proclamations
In the grand days of great men and the smallest of gestures
And short shallow gasps.
Enid ha imparato, sulla propria pelle, a non rischiare, non sarà una serata sul balcone con la paura di correre in casa per un rovescio improvviso di pioggia. Ha sistemato il soggiorno, sul basso tavolino ha appoggiato una torta gelato, comprata in pasticceria, piatti, bicchieri e posate, lo schermo televisivo è spento, lo rimarrà a lungo considerando gli ultimi avvenimenti, riflette come uno specchio scuro i movimenti della ragazza fra i due divani dai colori neutri, ravvivati da coperte di cotone variopinte, la porta finestra che immette nel giardino della villetta bi-famigliare, l'ampia vetrata sulla sinistra, i mobili in legno chiaro, limitati a una piccola scrivania, alcune sedie, un mobile per la TV, il lettore DVD e lo stereo ed infine, una scaffalatura a ridosso del divano, dove sono sistemati alcuni libri, un bonsai e un'altra tovaglia dai colori vivaci, che si affaccia sull'ingresso. Enid ha raccolto i capelli castani in una coda, sul collo spiccano i lividi in via du guarigione, bluastri con venature gialle; il volto dai lineamenti delicati fa spiccare gli occhi verdi come il mare dallo sguardo profondo, espressivo e le labbra rosate, indossa un pigiama estivo, perché ormai conosce Wilfred, non avrebbe senso imbellettarsi per aprirgli la porta con mosse seducenti, riuscirebbe soltanto a farlo allontanare o peggio, scoppiare a ridere, perciò è comoda con un paio di infradito bianche ai piedi, le gambe nude da sopra le ginocchia arrossate dagli ematomi, la parte inferiore del pigiama è composta da pantaloncini corti con piccoli gufi neri dagli occhi gialli stampati, lo stesso motivo riportato sulla parte superiore, una semplice maglietta bianca a maniche corte. Arrivata alla porta, darebbe un rapido sguardo allo specchio, prima di aprire.
Wilfred suona il campanello per accedere alla casa, si è guardato le spalle per tutto il tragitto e non ha notato niente di allarmante, sa di essere seguito dagli Uprooted e dai Mannari ed è consapevoli che lo stesso valga per Enid, non è questo a turbarlo, non sono loro a costituire dei pericoli. Incassa i colpi, le tragedie dell’esistenza con cristiana rassegnazione: è la strada che ha scelto di percorrere, non vuole e non può tornare indietro, chiudere gli occhi sulla verità, la sua unica ritrosia riguarda gli innocenti coinvolti nella sarabanda di Sunnydale, specie quelli che getta lui nell’arena. Rimane in attesa, non si aspetta che ad aprire sia una donna fatale, non lo gradirebbe affatto, scorgere il sorriso di Enid è un sollievo che scioglie l’ansia della giornata, non può che risponderle con gli angoli della bocca che si sollevano, con gli occhi che ricambiano la contentezza, passa la mano sinistra fra i capelli castani, sono cortissimi riccioli che si annodano attorno alle dita, inclina il collo. «Ciao.» dice con voce profonda, sfumata a una dolcezza spontanea, rara con alti. Gli occhi azzurri hanno una tonalità scura, simile al grigio. È divertito da quella buffa stampa, dal gufo dai grandi occhi gialli. Lui ha un abbigliamento meno casalingo: pantaloni di tessuto leggero color petrolio, camicia bianca dal colletto sbottonato, scarpe nere robuste, un giaccone verde militare ed un paio di occhiali sul naso. È un uomo, non un ragazzo, la maturità si legge nello sguardo, nei movimenti fluidi, un’ombra di barba percorre la linea della mandibola, circonda la bocca senza nasconderla. «Sei andata alla pista di pattinaggio?» domanda, china lo sguardo sulle gambe per notare i segni delle cadute, appare piuttosto ironico.
Enid arriva alla soglia con Gitel che abbaia con furia tanto da sembrare un molosso da guerra, non appena può raggiungere Wilfred, si placa subitamente per scodinzolare festosa. Enid non ha cercato di zittirla, la donna al piano superiore è un'anziana infermiera, avere un cane da guardia è utile. Non resta sulla soglia a lungo, il tempo di salutarlo: «Ciao.» arretra scrollando le spalle: «Sono caduta, ma ho incontrato un ragazzo simpatico, si chiama Bastian.» gli racconta, la sua voce sottile è sempre gentile: «Lui pure non sapeva pattinare, ma ce la siamo cavata.» conclude. È una parola grossa, lei sarebbe rimasta a bordo della pista sino alla fine dei suoi giorni, non fosse stata spronata dal Lupo Mannaro in umane spoglie. «Entra, ho preso una torta che sembra molto buona.» si sporge per chiudere il battente: «Se non ci spicciamo, finirà tutta nello stomaco di Gitel.» arriccia il naso. Gli indica l'attaccapanni, però Wilfred conosce la casa e non ha bisogno di essere guidato, di essere condotto, ritorna in soggiorno per sincerarsi che il cane non abbia lappato il dolce. «L'altra sera sono stata alla libreria di Marlene.» si volta per guardarlo, sorride. «C'è stata quella tremenda interferenza nei programmi, forse non hai avuto modo di vederla: abbiamo udito la voce di una ragazzina pregare in latino, quasi certamente ha invocato Michele. Per un attimo, un secondo soltanto abbiamo visto Jody in lacrime, poi è tornato tutto come prima.» conclude il resoconto, ha la dovuta, composta serietà. Non siede, si piega per tagliare due fette e distrarsi da quel ricordo angoscioso. Wilfred entra completamente per coccolare Gitel con un sorriso ancora più aperto e più gioioso sul volto, ma poi la cagnolina precede la padrona, sfila il giaccone ma fa scivolare un piccolo involto di velluto blu nella tasca dei pantaloni, si schiarisce la voce. «Non saper pattinare è una buona scusa.» ribatte con serenità: «Io l’ho usata parecchie volte con le ragazze.» non osa mettere in dubbio la sincerità di Bastian, non può definirsi geloso o forse, non vuole ed è una strana, fugace sensazione che lo pervade, sposta il viso e aggiusta gli occhiali per tenersi occupato. È presto costretto a concentrare la mente su altre questioni. «Vorrei tradurre le sue parole e posso dirti che Jody non parlava latino con tanta dimestichezza. Io non capisco cosa stia a significare, tutto ciò e nemmeno come arrivare al nodo, al bandolo della matassa. Forse, quando accadrà per Jody sarà tardi.» solleva la mano destra, prevenendo obiezioni: «Sono consapevole di non avere alcuna colpa. Non sono tormentato da un desiderio di espiazione, io vorrei fare in modo che una vita innocenti rimanga tale, vorrei vedere una famiglia riunirsi. Vorrei ci fosse un poco di giustizia in più nella città.» abbassa il braccio con un respiro profondo che esce dalle narici. C’è frustrazione ed ansia nel tono. Si accosta alla ragazza per sbirciare il dolce. «Mi spiace.» soggiunge, non ha colpa della visione e non ha colpa di tante altre cose avvenute, ma si scusa di nuovo.
Enid resta piegata, il dolce è una torta ovale con una base di pandispagna, uno strato di cioccolato fondente, uno di cioccolato al latte e una generosa porzione di panna su cui sono stati sbriciolati pezzi di cioccolato gianduia. È il paradiso sotto forma di dessert e l'accompagna con una scelta di bibite alcoliche e non. «Non devi dirlo: l'abbiamo visto tutti quanti.» solleva la testa per sorridergli con calore: «Non sentirti colpevole per Jody e non sentirti colpevole per me.» prosegue, il tono rimane sicuro, senza eccessiva enfasi. «Sono una persona adulta, come ve ne sono altre e in quanto tale, sono responsabile di me stessa e non vorrei che fosse altrimenti.» posa una generosa porzione sul piatto, allunga una scaglia di cioccolato a Gitel, che quasi le mangia il braccio intero, senza lavarsi le mani, riprende a maneggiare il cibo candidamente. «L'oscurità ci circonda, alcuni hanno l'opportunità di vederla ed altri riescono a evitarlo. È una scelta, talvolta e altre è inevitabile ma non dipende da nessuno, se non da noi stessi.» si raddrizza per porgergli il piattino con forchetta, tovagliolini di carta, come si conviene. «Non voglio che tu abbia da portare dei pesi a causa mia, perché non hai portato alcun male.» socchiude la bocca, sembra scartare almeno un paio di frasi. «Sei un amico. Hai rischiato la vita per proteggermi, mi hai fatto compagnia, mi hai confortata, mi hai ascoltata. Non rimproverarti niente e resta tranquillamente. Io desidero soltanto che tu stia bene.» c'è una dolcezza persino languida nel tono, ma possono essere l'incoraggiamento di un'amica sincera, cosa che lei è.

But with all my education I can’t seem to command it
And the words are all escaping, and coming back all damaged
And I would put them back in poetry if I only knew how
I can’t seem to understand it.
Wilfred non è un dolce a cui si possa dire ‘no’. «Ha uno splendido aspetto.» commenta. Non è esageratamente goloso, sa apprezzare la buona tavola. Prende il piatto, aspetta che Enid sia servita e accomodata per imitarla. «Non tutto è semplice come appare.» replica in tono asciutto, non vuole sbottonarsi troppo sull’argomento, sa che potrebbe farsi sfuggire dei dettagli inopportuni. «Io non vorrei parlare di quante mostruosità abbiamo veduto, di come conviviamo con esse. Non stasera.» afferma ed è piuttosto categorico, la voce diventa dura quanto lo sguardo ma tutto ciò perdura una manciata di secondi. «C’è un Rifugio per animali fuori da Sunnydale. Andrò a cercare un cane, la prossima settimana. Se ci fosse internet vedrei le foto sul sito, ma oggi non abbiamo avuto neppure i quarantacinque minuti per svuotare la casella email dallo SPAM.» sbotta esasperato. «Tu non sai quanto sia scomodo avere registri unicamente cartacei, a scuola. Ho una quarantina di studenti che affrontano cinque test scritti e due interrogazioni orali a semestre, ricordare le date, le esitazioni è impossibile, devo appuntare qualsiasi banalità. In passato, era così ma non era il metodo che avevo imparato. Lo stesso programma è stato consegnato in una busta chiusa, come fosse una lettera.» fa una smorfia, sospira solo dal naso. «Se non bastasse, ai consigli scolastici sembra di stare in un manicomio. Non si pretende ordine militare in un liceo, adesso, diciamo agli studenti di conservare i quaderni conclusi, casomai servisse consultarli.» spiega all’amica. Pare che stia affrontando una battaglia epica, deve portare i voti di fine anno. Jeremy per prenderlo in giro, dato che è nervoso, gli ha regalato i numeri della tombola. «Non penso che tu sia un vittima passiva, incapace di reagire, di vedere, di comprendere perché ti ho vista combattere, mantenere la lucidità e non ti prendo in giro, non ti chiudo gli occhi e non perché non possa ma perché io non desidero farlo. Sei una ragazza intelligente, forse la più brillante che abbia incontrato e non potrei mentirti: lo capiresti. Ti deluderei e non voglio neppure questo.» soggiunge, stira le labbra in un sorriso. Prende un pezzo di cioccolato, lo porge a Gitel, che è giuliva come fosse la mattina di Natale.
Enid ridacchia. «Mi ha guardata seducente dalla vetrina.» commenta, prende una fetta più sottile e siede sul divano, Gitel resta vicino ai due per ovvie ragioni. «Ci sono anche cose semplici e un uomo che dice di non saper pattinare, non sa realmente pattinare.» ritorna al discorso precedente con un leggero sorriso. Accavalla le gambe, il piede destro finisce ad accarezzare l'aria in un movimento annoiato. «Era un bell'uomo, simpatico e un po' imbranato. Credo ci siano tante persone simpatiche in città.» afferma con ottimismo, prende un po' di torta mentre lo ascolta. Annuisce piano. «Io devo firmare la petizione per l'acquisto di 'Hannibal' da una rete cable. Firmerai anche tu.» lo indica fugacemente, non ha diritto di manifestare dissenso o peggio, pensare di rifiutarsi. Minimizza, non serve amplificare i problemi con lui. «Vedrai che per l'Inverno saremo salvi.» chiude la sua riflessione. Riguardo al Rifugio, sorride allegramente. «Ottima idea, mi pare strano vederti senza quadrupedi. È come se ti mancasse una parte importante e non hai ragione per privartene.» dice convinta. Gli fa cenno di accomodarsi. «Wilfred.» fa un profondo respiro: «Io ho ricevuto un incarico importante da Marlene, vorrei spiegarti cosa sia successo.» vorrebbe guardarlo in viso per parlargli.

And I would give all this and heaven too
I would give it all if only for a moment
That I could just understand the meaning of the word you see
‘Cause I’ve been scrawling it forever but it never makes sense to me at all.
Wilfred assaggia a sua volta. Va a sistemarsi sul medesimo divano occupato da Enid, l’affianca sulla sinistra ma non dà altro cioccolato a Gitel, l’accarezza con un sorriso bonario. Mastica, deglutisce, stappa una bottiglia di acqua frizzante per riempire il proprio bicchiere, sa che l’amica opterà per il tea. «Sono sicuro che dici il vero.» risponde volgendo lo sguardo sulla ragazza: «Però, non ci sarebbe nulla di strano, se avesse cercato di attaccare bottone. Sei una bella ragazza, sei brillante, sei simpatica senza essere invadente. Immagino che la penuria di buon gusto, sia la sola ragione che spinga i ragazzi verso altri soggetti.» parla con la massima calma, anche se i pensieri riprendono ad addensarsi. Non ha tempo per analizzarli, forse non ne ha il coraggio. «Vorrei apprezzassi la mia educata finezza.» stavolta, il sorriso è ambiguo. Arcua le sopracciglia, ricambia lo sguardo con serietà. «Ti ascolto.» assicura, mastica un boccone. L’immaginazione non lo conduce alla verità, le idee rimangono vaghe.
Enid affonda i denti della forchetta negli strati. Trova inutile indugiare oltre, intende andare dritta al punto. «Sono entrata nella libreria, Marlene guardava la TV. È in quel momento che abbiamo sentito la preghiera, che abbiamo visto Jody e io ero sconvolta.» ammette, ma non abbassa il viso, non si vergogna di aver provato timore. «Marlene è stata gentile, mi ha calmata e mi ha raccontato una storia: quando le porte dell'Inferno furono aperte, la gloriosa Legione di Michele, Principe degli Angeli, discese sulla Terra per aiutare i coraggiosi a combattere i Demoni, ansiosi di disperdersi sulla Terra.» ha un tono solenne, sembra sia tornata al tavolo del Gioco di Ruolo. «La battaglia era sanguinosa, tanto che Michele dubitò che i suoi fratelli venissero salvati, sacrificando due delle sue sei ali, radunò gli Angeli e li mise al sicuro. Tornato indietro, cadde in mano ai nemici, ancora adesso, giace all'Inferno, in attesa di essere liberato.» termina, si sporge per prendere il tea verde freddo. L'impresa vale tremila punti, non sono accettati gli adoratori di Satana, equipaggiamento a scelta del giocatore. Non lo pensa neppure, lei architetta trappole mortali. C'è un angolo oscuro nella sua anima innocente, c'è in qualsiasi master. «Marlene è Azrael, l'Angelo della Morte. È in questa città perché vuole liberare Michele, non è la sola e nel mentre, proteggono la Creazione dalla malvagità.» deglutisce un sorso: «Io sono venuta in contatto con questa crudeltà, sono un'Umana e per Azrael sto rischiando più del lecito, per questo motivo, ha deciso di pormi sotto alla sua protezione. E io ho accettato.» ispira, espira, si china per avere le mani libere: «Ha parlato di Clarice, lei nel proteggerti sta mutando in una creatura celeste, diventerà un Angelo. Lo diverrà perché è buona, perché è forte ed è coraggiosa.» infila la mano sinistra nella tasca dei pantaloncini, estrae una piuma azzurra di color argento sfumato sulle punte: «L'ho vista con le sue ali, due sono spezzate e quattro si aprono, pronte a sollevarsi in volo. Tieni questa piuma con te, Wilfred, proteggerà entrambi.» l'allunga e per tutto il tempo non ha mostrato esitazioni, imbarazzi, indugi. Sa cosa ha visto, sa cosa sia reale.
Wilfred ascolta, niente che non abbia già appreso e allo stesso tempo, sentirlo dalla voce di Enid ha uno strano effetto sul suo umore. Perde il sorriso, l’appetito. Appoggia il bicchiere, il piatto e si alza in piedi. È vagamente rincuorato dalla sorte che attende Clarice. «Avrei voluto si diplomasse, andasse all’Università, conoscesse la sua condizione umana, la sentisse propria. Qualcuno le ha strappato l’occasione di essere una donna, le danno l’opportunità di essere un Angelo, attraverso nuovi sacrifici.» ritorna ad avere un tono duro, ma non ostile. «Tu sei stata aggredita, sei stata spaventata e un Angelo pone le ali sopra di te. Dovrebbe essere questa, la perfetta giustizia?» domanda, contrae le labbra in una smorfia. «Io non riesco a comprendere. È questo il massimo a cui si possa aspirare?» prende la piuma fra le dita. Percorre la lunghezza del divano, avanti e indietro, un paio di volte, porta la mano sinistra al braccio. Le emozioni sono contrastanti, non c’è il sollievo aperto che ci si dovrebbe attendere. «La trovo una cosa buona, Enid.» precisa alla fine: «Non chiedermi altro. Devo solamente abituarmi. Non al fatto che tu sia protetta da un Angelo o che Clarice stia per divenirlo… Ti ringrazio per essere stata onesta, però ci sono troppe cose da metabolizzare. Tutti questi fattori dovranno far parte della nostra quotidianità.» scuote il capo: «Ho qualcosa per te, ma non ti proteggerà. È un banale regalo.» usa la mano destra per prendere il piccolo sacchettino di velluto blu chiuso con una nastrino dorato, al suo interno è sistemato un piccolo gioiello composto da una sottile catenella d’argento a cui è appeso un ciondolo ovale al cui centro è incastonato cristallo Swarovski arcobaleno, simile all'Arkengemma, attorno ad essere sono intagliate delle rune a comporre il nome “Enid”, sul retro del ciondolo in caratteri normali è aggiunta la frase: “Luce, tu sei per il mondo” . Lascia che sia la ragazza a scoprirlo, mentre si chiude nel silenzio e piega le ginocchia per coccolare Gitel.
Enid non gli ha detto di essersi sottomessa a un Vampiro, può cercare di comprendere la sua inquietudine ma non l'incoraggia. «Wilfred.» prosegue a mangiare la torta: «Non devo scoperchiare l'abisso, non ho una Schiera di Angeli alle costole. Abbiamo parlato del fatto che esistono buone e cattive creature. Io sono stata avvicinata da una persona benevola ed è una persona unica ed irripetibile, come lo siamo noi. Sono rimasta sconvolta, al principio, ma ho pensato a quanto fosse rassicurante che qualcuno si opponesse a quei mostri.» cerca di spiegarsi, purtroppo non ha un'opinione elaborata in merito: «Non è una giustizia perfetta, non è il massimo a cui si possa aspirare, però noi viviamo oggi e dobbiamo accettare quanto ci è stato offerto: io penso che Marlene possa diventare una mia amica. Non perché sia l'Angelo che mi guarda le spalle, ma perché è simpatica, perché sa ridere e ha perso anche l'uomo che amava. Chiunque sia, voglio che sappia di potermi chiamare per commentare un serial o per confidarsi... Non si diventa amiche con un gesto, noi non lo siamo ma lei mi piace.» conclude. Mantiene il dialogo su fatti pratici, legati alla vita di ogni giorno, ha poca voglia di incasinarsi, adesso che ha un barlume di quiete. Posa il piattino, il bicchiere è vuoto: non spreca il tea e si trova un regalo. «Wilfred.» ripete il nome con dolcezza: «Grazie.» aspetta di aver tolto la collana dal fagottino di velluto per sorridere commossa, emozionata, gongolante. «Ma è stupenda!» esclama ammirata. Passa le dita sulle rune, sul cristallo, volta il ciondolo e serra le labbra per non lasciarsi sfuggire parole inconsulte. «Tu hai una vaga idea di quanto volessi una simile meraviglia?» alza la voce, euforica. L'autocontrollo viene meno, mentre lui è intento a divertire Gitel, lei cerca di allargare le braccia per cingerle attorno al suo collo.
Wilfred avere a che fare con gli animali, lo rilassa e mano a mano che resta a contatto con Gitel, si placa per sorriderle nel vedere quanto apprezza il suo dono. Non che sia andato totalmente alla cieca. «Ti auguro di trovare un’amica così.» acconsente, non ha altro di sensato da dire e poco dopo, si trova col peso della ragazza addosso. Il contatto è tutt’altro che spiacevole, Enid ha un tepore rigenerante, scioglie ogni tensione, sgombra il cielo dalle nubi. Avverte una fitta al braccio sinistro, eppure ricambia. Stringe contro di sé il corpo di Enid, gracile e delicato ma non debole. Deglutisce, vorrebbe lasciarla andare, vorrebbe tenere le distanze di sicurezza, stavolta non ha alcun controllo sulle emozioni, ben conosce l’ebbrezza, il languore a cui si abbandona il buon senso. È perfettamente consequenziale, cercarne il viso con la mano destra, sfiorarne appena il mento e poi tentare di accarezzarne le labbra con le proprie, un bacio lieve, un contatto premuroso, un riguardo naturale per non turbarla, per non passare il segno. La sua mano scivolerebbe sino alla nuca, massaggiandole il collo.


Non indugerebbe, per quanto ne avverta la necessità con la ragazza praticamente sulle proprie gambe. Scosterebbe lentamente il viso, il naso sfiorerebbe quello di Enid in maniera giocosa, le labbra si poserebbero sulla guancia. «Devo andare.» bisbiglia al suo orecchio: «Sono contento che l’Arkengemma sia custodita da te.» soffoca una risata. Non ha ragione di mostrarsi pentito, non lo è affatto. Sa che non è il momento di ragionare, di analizzare la situazione, si limita a viverla ed è la più bella, la più emozionante da che sia arrivato a Sunnydale. È un momento perfetto: c’è soltanto Enid, la sua casa accogliente e Gitel che li osserva, uno scenario in cui svanisce l’angoscia ma lui non ha vent’anni. Si ritrae con garbo, premurosamente vorrebbe sollevare Enid per lasciarla sul divano: «Devo andare.» ripete e l’emozione, rende la voce quieta, amorevole. «Buonanotte.» aggiunge.
Enid ha il cuore che batte come un tamburo, sembra voglia salire in gola, Wilfred non può ignorarlo e ogni centimetro di pelle che tocca è percorso da un brivido, sente i muscoli tendersi nell'incontrare il suo sguardo, poi abbassa le palpebre, socchiude le labbra e quello è il bacio più dolce e agognato della sua vita, al contempo è il più puro. La passione non spinge alla fretta, sembra cristallizzare quell'istante, amplificando l'intensità di ogni sensazione, il solletico della sua barba, la morbidezza della bocca ed il suo sapore, il tessuto della camicia sotto i polpastrelli, il profumo fresco del dopobarba che invade i polmoni, il suo petto che sembra martellare quanto il proprio. Porta le dita ai capelli, soffici riccioli castani che la imprigionano. Ride piano al suo bisbiglio. «Va bene.» mormora, vuole l'esatto opposto e sa che non sarebbe il momento opportuno per se stessa e per lui; sente che la tranquillità in cui sono immersi sembra destinata a durare. Cerca di sollevargli gli occhiali con la mano libera per poi accarezzargli il viso ed il collo. « La terrò bene in vista, perché mi ricordi chi per primo mi ha salvata.» dice sorridente, allenta la presa gradualmente, se lui dovesse farla sedere sul divano, non avrebbe obiezioni, si alzerebbe per accompagnarlo alla porta con la collana in mano e Gitel a fianco. Gli aprirebbe la porta, gli poserebbe un bacio sul collo. «Buonanotte.» sarebbero le sue ultime parole, mentre sente che il Paradiso si è avvicinato al mondo di qualche centimetro.

No, words are a language
It doesn’t deserve such treatment
And all of my stumbling phrases never amounted to anything worth this feeling
All this heaven never could describe such a feeling as I'm hearing
Words were never so useful
So I was screaming out a language that I never knew existed before.



lunedì 22 giugno 2015

Azrael

Ero arrabbiata, ero furiosa con Wilfred e con tutte le sue omissione, quelle parole pensate che non raggiungevano la gola, quei silenzi dove ristagnavano spiegazioni di cui non ero degna; ero frustrata dagli incubi, dalle visioni, dal dolore dei lividi, dalla sensazione di avere frequenti allucinazioni, dalle riflessioni che diventavano oscuri artigli nella notte. 
Ero allo stremo.
Non avevo appetito, non cedevo al sonno, ero senza energie, le speculazioni, le ipotesi e i fatti reali erano un solo groviglio, ero come avviluppata ai miei stessi pensieri.
«Rilassati, Enid.» è stato il consiglio di Wilfred, sempre lo stesso con un tono fermo, bonario da padrone illuminato: «Fatti una doccia, poi cerca un film da guardare sul divano con Gitel. Mangia qualcosa di dolce, bevi una tazza di tea, poi riposa. Non c'è motivo di agitarsi.»
Per una sera, ho ignorato le sue disposizioni. Ho fatto la doccia, mi sono vestita e sono uscita per andare alla libreria 'Books & Dreams', perché non avevo voglia di stare tra quattro mura, perché non c'era bisogno che fosse Will ad accompagnarmi, quasi fossi stata gravemente inferma. 
In effetti, ho impiegato un po' a uscire perché la libreria era formalmente chiusa, ma nella mia vita le eccezioni costituiscono le nuove regole.
Indecisa su cosa fare, ho udito quella nenia in latino, un preghiera all'Arcangelo Michele, pronunciata da Jody, la ragazza scomparsa che fa più apparizioni di Lady Gaga all'uscita del nuovo singolo.
Esiste un limite ai traumi che una persona può sopportare, esiste un tetto massimo oltre al quale, la mente sembra esplodere con la violenza di un vulcano, rilasciando la paura, lo sconcerto, l'aggressività trattenuta in precedenza. È una sensazione orribile, come brancolare nelle tenebre, senza alcuna certezza o ragione a guidarti, tutti è sullo stesso piano e tutto è privo di reale significato: la vita, la morte, il dolore, il sollievo, la speranza, la disperazione, il bene, il male.
È il momento in cui si impazzisce, ci sono andata vicina, abbastanza da accarezzare la follia con terrore per ritrarmi, agguantata da Azrael, l'Angelo della Morte
Non so cosa stessi blaterando, Marlene è riuscita a farmi sedere e capivo che eravamo diverse, non per età, non per esperienze, noi eravamo due diverse forme di vita, lo sentivo senza esserne pienamente consapevole.

«Sunnydale non è stata distrutta da un meteorite, o da un attacco kamikaze che è stato taciuto. Lei ha conosciuto la sua fine a seguito di una feroce battaglia alle Porte dell'Inferno. Un manipolo di coraggiosi si scontrò con le forze del male per il destino del mondo. Molto sangue fu versato, e la vittoria sembrava lontana per le forze del bene, quando, nella luce più pura, apparve una legione di angeli. Essi erano comandati da Michele, l'angelo più potente di tutti. La battaglia fu dura, i demoni che spingevano per uscire nel mondo sembravano aumentare a vista d'occhio, molti angeli morirono. Fu un uomo... Un peccatore, a decidere le sorti della battaglia. Egli sacrificò la sua vita per sconfiggere il nemico e il suo gesto scatenò una reazione a catena che portò ad una terribile esplosione. Gli angeli sopravvissero, ma subito si resero conto che le porte dell'Inferno dietro di loro si stavano chiudendo e che rischiavano di rimanere intrappolati e così, mentre l'Inferno bruciava, Michele radunò tutte le sue energie e sacrificando due delle sue sei, bellissime, ali, salvò i suoi compagni facendoli cadere sulla terra. Io ero uno di quegli angeli, il mio nome è Azrael sono l'Angelo della Morte.»


Non ho dubitato di una sola parola, perché erano due voci a narrarla e nessun conosceva la menzogna, perché gli occhi azzurri erano fatti per ammirare le bellezze dei Cieli, non le miserie della Terra.
I cocci stentavano a ricomporsi, però c'era un disegno originario, una base sulla quale partire: la lotta alle Porte dell'Inferno, così vicina a Sunnydale da distruggerla, il sacrificio di Michele per amore dei fratelli, una mancanza di fede che ha bisogno di un riscatto e gli spiriti inquieti che agitano la città, forse scappati dall'Inferno o da esso generati.
Azrael ha sei ali azzurre con riflessi argento che cambiano di intensità e forma, cangianti ed ipnotiche, due sono spezzate, le fanno persino male nel muoversi. È caduta, dice. La sua condizione, prima della guerra era differente. Non esistevano Angeli con ali spezzati, adesso, molti vagano per la Terra, nella speranza di liberare Michele.
L'unica cosa che potevo fare, davanti a un Angelo, a un'entità spirituale nata prima dello Spazio e del Tempo era inginocchiarmi, tanti lo fanno innanzi a idoli di avorio, a cadaveri decomposti di santi, a croci di legno, io avevo qualcuno di vivo e di reale, almeno.

«Non devi inginocchiarti, nessuno vuole che tu ti sottometta...Alzati, coraggio. Un tempo volavo su questa terra con il mio vero corpo, era il tempo in cui vivevate ancora nelle caverne e non avevate paura di noi, ma vi avvicinate con il cuore sereno, senza paura. La paura è venuta dopo, la Chiesa vi ha inculcato il culto di un Dio vendicativo e di una schiera di angeli metà ...Fighette e  metà crudeli distruttori. Noi siamo solo amore, amore in ogni forma ed è per amore che abbiamo combattuto ogni guerra. Non vogliamo la vostra deferenza, ma il vostro affetto.»

Azrael mi ha fatta rialzare, ho pensato che fosse triste: avevo creduto esigesse deferenza, invece cercava affetto, come tante altre creature e l'idea non mi aveva neanche attraversato il cervello, perché cosa potevo mai essere, ai suoi veri occhi?
Un granello di polvere ed il mio tempo, un secondo impercettibile ma così non era, perché se siamo abbiamo un Dio che vuole essere 'Padre', forse dobbiamo sostenerci come 'fratelli'.

«Mio Padre non abbandona i propri figli, mai. Sono loro piuttosto che abbandonano lui.»

Mi ha spiegato la natura degli spiriti, alcuni sono da evitare, perché gonfi di rancore, spesso morti violentemente e ci sono altre anime che non vengono contaminate dal male, rimangono buone, scelgono di proteggere i vivi, diventano Angeli. Non è una cosa semplice, una cosa che succede tutti i giorni, però accade ed è confortante, malinconica in ugual misura.

«Non temere quindi, in ogni momento, per quanto buio sia, qualcuno veglia su di te.»

Mi ha detto di chiudere gli occhi, perché desiderava proteggermi ed io l'ho fatto. Non so cosa sia successo, ho guardato il mio corpo e non ho visto alcun segno, alcuna impronta, eppure ho avvertito distintamente un contatto fisico e spirituale, non so spiegarlo e non so vederlo. Marlene ha solo consigliato chiedere del dottor Allen, avessi bisogno di lastre al torace.
Non capisco perché, ho tastato il busto ed non mi pare cambiato. Può darsi che guardando delle lastre di veda altro, non mi interessa.
Sto bene così, perché ci sono anime buone sulla Terra e non solamente mostri, perché gli Angeli non ci fissano dall'alto, ma ci accompagnano lungo il nostro cammino, perché ho una piuma di Azrael da consegnare a Wilfred, perché posso dirgli che Clarice non si sta sacrificando per nulla, perché so che nessuno nasce, vive e muove invano.


I like your smile

"Mi piace il tuo sorriso e il suono della tua risata"

giovedì 18 giugno 2015

Waiting for you

I've been waiting for you
I've been waiting for you
Never found anything else to do
But waiting for you.
Wilfred non ha chiesto il parere di James Dubois, perché la Biblioteca accoglie anche ignari clienti e non è sua intenzione far accedere qualcuno estraneo al Consiglio alla sala dedicata agli archivi, però sente di essere su una linea troppo sottile, di minare un equilibrio che vorrebbe preservare e non ha la più pallida idea di come conciliare il dovere con altre, contrastanti emozioni. L'attuale compromesso risiede nell'accogliere l'amica all'esterno, nel giardino dove si progettano vasti cambiamenti, stasera limitati ad alcune sedie sistemate sotto ad una robusta quercia e tre torce sistemate sul prato con un thermos da campeggio rosso. Un simposio ristretto e spartano. «Non mi sarei mai perdonato di aver sprecato questa bella serata.» afferma con voce calda, solleva lo sguardo al cielo per intravederlo fra i rami degli alberi. L'Osservatore è un uomo di trentaquattro anni di alta statura, ha un fisico proporzionato, non massiccio ma neppure allampanato, il portamento è tutto sommato elegante con le spalle e la schiena dritte; ha il volto dai lineamenti marcati, adombrato da una barba scura quanto i capelli tagliati corti e inevitabilmente ricci, specie con l’umidità, gli occhi sembrano grigi, una tonalità di azzurro limpida e chiara. Ha un abbigliamento casual, sebbene ordinato, pulito e curato, come del resto qualsiasi altro particolare relativo alla sua persona: camicia di cotone con fantasia tartan sul verde sbottonata sul collo e pantaloni di un’indefinibile tinta tra il color tabacco e il nero pece, abiti di taglio commerciale ben tenuti, le scarpe scure sono impermeabili, pesanti. Guida Enid sin sotto la pianta, lasciandola libera di accomodarsi, dove desidera.
Enid si guarda attorno, incuriosita più che allarmata, anche se la quasi totalità di eventi traumatici è avvenuta alla presenza di Wilfred, riesce a sentirsi sollevata con l'uomo accanto. Annuisce senza ribattere, non frequenta la Biblioteca di Sunnydale, preferendo arrivare sino a Boston ma la vista del giardinetto è piacevole come l'aria estiva. Non deve preoccuparsi di nascondere i lividi sul collo, né di apparire più calma di quanto sia realmente, affonda nella seduta di una sedia dietro alla quale si erge il tronco, sorridendogli. Enid ha un aspetto gradevole, sebbene abbia il raro pregio di rendersi anonima. È minuta, piccola di statura e sottile nel fisico, silenziosa nei movimenti fluidi, aggraziati, ha un bel viso in cui brillano occhi verdi come il mare, in cui spiccano labbra piene rosate sulla carnagione diafana, i suoi capelli sono lunghi e sciolti sulla schiena, soltanto le ciocche laterali sono raccolte alla nuca da un fermaglio bianco, che spicca nel castano dorato della chioma. Indossa un abitino sopra al ginocchio blu navy, lo stile Boho-Chic imparato a Boston, linea scivolata e morbida, scollatura modesta chiusa da un laccetto rosso, maniche a tre quarti ampie, un nastro a stringere i fianchi e poi una gonna leggera, calza sandali dello stesso colore in cotone e corda per il rialzo, le gambe sono nude, chiare come la sua pelle in generale, gli accessori sono una borsa di stoffa beige da cui spunta la testa di un gatto grigio e una collanina di argento con un ciondolo a forma di cristallo di neve con piccoli brillanti azzurri. È truccata in maniera discreta, non ne ha bisogno. «Gitel si diverte!» esclama, indica il suo cane che scorrazza nell'area con aria giuliva. «Ha bisogno di movimento. Non sono esattamente alla sua altezza, al momento.» ammette con una smorfia. Reclina la testa e studia i rami intrecciarsi fra loro. Non introduce alcun argomento. Le piace anche il silenzio, anche la quiete dei pensieri.
 
Wilfred rimane in piedi, ha lanciato alla cagnolina alcuni giocattoli che Enid gli ha passato. «Mi pesa avere la casa vuota.» è un lento sospiro, affonda le mani nelle tasche dei pantaloni per rimanere in piedi davanti alla ragazza. «Vorrei andare al Rifugio, prendere uno o due cani ma non sono certo della vita che saprei offrire loro.» tende la bocca in un sorriso amaro, svia lo sguardo su Gitel che si diverte, libera da qualsiasi costrizione, gradualmente ne esce addolcito, rasserenato. «Mi è parso di vedere quella ragazza, pomeriggio.» racconta a Enid, sposta il peso da un piede all’altro, raddrizzandosi soltanto terminata l’ammissione: «Avrei voluto bloccarla, l’ho persino confusa con Clarice, lei è sfuggita.» fa un respiro profondo che accende il prurito al fianco ustionato. Reprime l’istinto di grattarsi a sangue la pelle. «Non voglio ce muoia nello stesso orribile modo. È una ragazzina. È innocente come lo erano Pamela e Clarice.» stringe i pugni con rabbia: «Deve esistere un modo per fermare l’assassino.» un ringhio carico di odio, un sentimento non sconosciuto, ma accantonato con saggezza. Sa che il rancore, la smania di vendetta possono renderlo vulnerabile, non gli è servito che Jeremy lo sottolineasse, ci è arrivato da solo e anni fa. Scuote la testa. Può lasciare tranquillamente l’argomento.
Enid riporta l'attenzione su Wilfred, l'espressione è comprensiva e gentile come lo è anche lo sguardo, la voce che raramente si alza o si inasprisce. «Nessuno può fornire delle garanzie, perché tutti avanziamo nel futuro un minuto dopo l'altro.» replica affatto stupita dalle affermazioni, il suo sorriso è dolce: «Vai al Rifugio, prendi due cani che saranno fortunati a vivere con un essere umano buono come lo sei tu. Saranno amati, saranno curati, saranno rispettati. Nessuno può sapere quanto vivranno, quanto vivremo però siamo noi a decidere il come.» conclude la parentesi di pacata, illuminata saggezza senile, quasi fosse posseduta dallo spirito di Gandalf il Bianco. Riguardo alla ragazzina, china lo sguardo, rispettosamente. Essere delle adolescenti bionde porta una sfortuna incredibile a Sunnydale. Non è un commento da pronunciare, prende tempo sollevando un osso di gomma, lanciandolo a Gitel, ispira ed espira a bocca socchiusa. «Dovrebbero essere fermate tante persone, tante cose.» si limita a mormorare: «Io spero che la piccola si salvi, che sia scappata e ritorni a casa. Ho conosciuto un poliziotto, Jack Wright e sembra tu sappia chi sia.» cerca di fissarlo in viso: «Pare in gamba. Può darsi che questo mostro abbia i giorni contati.» abbozza un sorriso, lieve. Parla di mostri umani, chiaramente ed è pure contro la pena di morte, se però giustiziano un serial killer pedofilo, non piange calde lacrime. «Dai un po' di fiducia al mondo.» è la serata delle frasi estratte dai Biscotti della Fortuna.



Wilfred estrae la mano sinistra per passarla fra i capelli, i riccioli sembrano ammassarsi attorno alle dita, qualche nube si affaccia sulla volta celeste, resta silenzioso per alcuni minuti, abbassa il braccio ferito e fa un passo indietro. «Non era una mia studentessa, quest’anno ma la conosco.» il tono è basso, le riflessioni di quelle ore mutano in frasi reali, riescono a ferirlo per la quantità di rabbia e di frustrazione che sollevano, sono cocci di vetro sulla pelle. «L’avevo vista con Clarice, nei corridoi della scuola.» aggiunge, ma il resto rimane in gola, come fosse incapace di manifestarlo. Fa un passo avanti. «Sì, conosco Jack e mi ha parlato della sua carriera. Penso sia un ottimo acquisto per Sunnydale. Penso che farà il possibile per ritrovare la ragazzina ma credo pure che non ci riuscirà.» affermazione cupa, solenne che vuole sia smentita in cuor proprio. Osserva Gitel per altri minuti. «Dovremmo vivere senza certezze?» le domanda con le sopracciglia arcuate,distratto dalla sagra del vittimismo. «Brancolare nel buio, senza avere certezza alcuna di quanto avverrà a noi e a chi amiamo?» sorride, come a sfidarla: «Avanti, Enid, sappiamo entrambi che la vita è una strada irta di ostacoli e che non procederemmo le nostre sicurezze. Le abbiamo tutti. Il salto nel buio è da incoscienti, non da coraggiosi.» piega le ginocchia per aprire il thermos da campeggio. Ci sono dei coni gelato, the freddo in lattina, acqua minerale e birra. Lui non ha dubbi, prende una bottiglia di alcolico, poi fa un cenno alla ragazza. 
Enid opta per il cono gelato, a costo di riempire di cartacce il thermos, ha bisogno di zuccheri. «Non puoi saperlo.» si limita a osservare neutrale, senza intento polemico bensì speranzoso. «L'ho cercata con lo sguardo, mentre portavo Gitel a spasso e mentre tornavo dal Centro Commerciale. Mi è parso di incrociare una ragazzina bionda, incredibilmente simile a lei e sbagliavo. Sarebbe stato bello, l'avrei afferrata per un braccio, portata alla Polizia.» dice in un mormorio triste: «Tutti stanno sperando e pregando che non accada niente di male, che ritorni dalla sua famiglia. È confortante, sapere che la maggioranza delle persone sono buone, non perfette o sante però oneste. È una certezza illuminante nella strada irta di ostacoli.» conclude. Addenta la parte al cioccolato, masticando e deglutendo a bocca chiusa, una buona volta. Ha la gola irritata dal tentativo di strangolamento, ogni giorno sembra andare meglio. «Non è un salto nel buio, Wilfred. È un ragionevole rischio.» prosegue. «Ne accettiamo parecchi e per ottime ragioni: avere degli amici, ad esempio. Gli amici sono estranei, sino a quando non impari a conoscerli, sino a quando non ti mostri a loro. Non è un rischio?» è retorica: «Innamorarsi è un rischio, un atto di fiducia e di speranza. Possiamo restare feriti, possiamo essere ripagati, non lo sappiamo sino a quando non decidiamo di esporci.» si ritrova a guardare Gitel, imbarazzata. «Io so cosa sia quel rischio, perché raramente lo affronto.» lascia andare l'ultima parte in un soffio.
Wilfred  apre la bottiglia e porta il collo alla bocca, non è convinto e manda giù parecchia birra, fa una smorfia a causa del freddo polare del liquido, si raddrizza. «Il vasto bacino dell’onestà può contenere peccati nascosti sotto il tappeto, ma desumo tu parli di anime pure.» riprende l’argomento, fa spallucce. «Va bene, hai ragione: accettiamo dei pericoli per ottenere dei risultati. Gli amici non sono sconosciuti, impieghiamo del tempo a confidarci, possiamo sbagliare, possiamo essere ingenui, possiamo essere raggirati ma esigiamo una conoscenza profonda. Parliamo a tante persone, ma selezioniamo chi desideriamo nella nostra vita, non teniamo le porte spalancate a tutti.» fa ondeggiare la birra nell’aria. «L’amore può rivelarsi una fregatura: solitamente mostriamo le nostre qualità, teniamo nascoste le imperfezioni , siamo pronti a scusare le ombre altrui, sino al momento in cui non siamo esposti, siano a quando l’innamoramento diventa amore, un’affezione continua, appassionata e allora, ci troviamo accanto qualcuno che non conoscevamo affatto o non tanto bene.» strizza gli occhi per inquadrare il volto di Enid. Sorride. «Fai bene a essere prudente.» prende un sospiro: «Tralasciando le scorribande nell’oscurità.» premette con una sfumatura ironica: «Non devi essere ferita o ingannata o… Delusa.» si umetta le labbra. «Meriti il meglio. Tu sei il meglio, non accettare nulla di meno.» solleva l’indice sinistro, come fosse una raccomandazione da fratello maggiore. 
Enid riporta lo sguardo su Wilfred, lascia che parli senza interromperlo o smentirlo. Si rilassa un poco sulla sedia. «Intendevo altro.» risposta asciutta, anche perché non ha un'esperienza enciclopedica da sfoggiare in qualsiasi campo escluse le arti umanistiche e i giochi di ruolo. «Posso continuare a darti ragione, ma forse sei un po' cinico. Non vorrei mai apparire diversa da chi sono, ma non perché creda di essere un capolavoro della Natura, semplicemente devo essere amata o rifiutata per me stessa, per come parlo, per come penso, per quello che cerco dagli altri e non per quanto sia brava a recitare.» solleva la mano, portandola ai capelli. «Sì, cerchiamo di essere più belli, più simpatici, più piacevoli ma non per questo siamo diversi.» obietta. Al resto resta silenziosa per alcuni minuti, Gitel si avvicina per farsi accarezzare. «Tu sei il meglio.» è un sussurro, sorride e non aspetta alcuna reazione. Non è certa di volerla notare. «Domani, sarà una giornata piovosa.» alza lo sguardo al cielo: «Sono felice di non essere rimasta a casa. Sono felice di aver portato Gitel a correre. Non accadeva da tempo.» vira subito su lidi più confortevoli: «Non ero mai stata alla Biblioteca, mi rivolgevo a Boston. È piccola ma ben curata, ignoravo fosse un giornalista del calibro di Dubois a tenerla in piedi.» lancia un'occhiata nei paraggi. «L'ho sottovalutata e ho sbagliato.» termina soddisfatta.
Wilfred rimane a guardarla, beve e si sporge ad sfiorare Gitel sotto al muso. «Non volevo svicolare.» risponde con semplicemente: «Non mi hanno mai definito ‘cinico’.» appare divertito, sorridente: «Sono un uomo, ho visto tante piccole cose e ho tratto delle conclusioni. Credo che esista l’amore, che possa durare negli anni, che si arricchisca col passare del tempo. È sull’ amore che si basano le famiglie, possono essere case imperfette, traballanti però sono i porti sicuri che conosciamo, che cerchiamo di creare anche sperando di migliorarli. Tutto inizia da una coppia che si ama.» restare curvato non l’aiuta, si raddrizza. Non ha reazione, non mostra il viso o l’espressione. È teso, ombroso e non vuole turbare Enid. Non vuole turbare se stesso, non oggi. «Jeremy è straordinario.» torna a guardarla con po’ di serenità negli occhi. «Mi ricorda il nonno.» è una lode sperticata. Il nonno è venerato dall'uomo, quale paradigma di ogni virtù, la sua memoria è eternata in un'agiografia con tanto di episodi canonici in cui si esaltano la sapienza, il rigore morale, la generosità; resta la dolcezza con cui trattava il nipote, consapevole di dover essere un padre per lui. Sospira. «Pioverà, ma almeno stasera siamo rimasti in un giardino a chiacchierare. Prendi un libro, prima di rincasare. So in che scaffale è messa la narrativa.» propone vivacemente: «Avrai la tessera, non sarà accogliente come la libreria di Marlene Archer ma non finirai per dormire sullo zerbino, perché hai troppi libri in casa.» conclude, salvo aggiungere. «Il romanzo che mi hai fatto avere è molto bello.» finisce la bottiglia. Può guidare senza problemi. Cerca le chiavi della Biblioteca in tasca. «Chiuderò io.» spiega a Enid. 
Enid procede con calma col gelato. Abbonata al cavalleresco ritrarsi di Wilfred, non fa una piega. Non sa perché rimanga sulle sue più del previsto, perché passi più del solito minuti a fissare altrove, vorrebbe sperare e non osa, non ne ha la forza. «Ti ringrazio.» acconsente riguardo alla tessera della Biblioteca. «Sto pensando a un lavoro stabile, ma sono molto indecisa e ogni mattina, ho un'ispirazione differente.» si appoggia al bracciolo per levare in piedi. Gitel seguirà senza il guinzaglio. «Ho visto un negozio molto bello, ci ho fatto un giro. Forse, potrei iniziare da lì.» ipotizza con ottimismo. Resta colpita dal paragone, non ricorda che qualcuno fosse arrivato sino al più alto piedistallo. «Dovrò incontrarlo.» afferma soltanto, affiancando Wilfred per avviarsi alla Biblioteca e da lì, alla macchina di lui.
I've been hoping for you
Keep hoping for you
What else can I do
But keep hoping for you?

venerdì 12 giugno 2015

The Little Lamb

«La morte è una porta spalancata, quando l'hai oltrepassata, vedrai nuovi orizzonti stagliarsi davanti a te.»
Non so chi abbia pronunciato questa frase, io l'ho sognata nei giorni successivi all'infarto di papà ed era la figura luminosa a parlare, a cercare di consolarmi, a riuscire a comprendermi meglio di qualsiasi altro individuo, ho sempre creduto fosse il mio subconscio e lo trovavo rassicurante.
Adesso, le certezze vacillano, si sgretolano in pochi minuti, lasciandomi con un Arcano da consultare.
Wilfred è stato terribilmente evasivo, più di quanto fossi disposta a tollerare. Ha incontrato qualcuno che già conosceva: una donna bellissima, piuttosto distaccata ma non ostile di nome Raissa, una ragazza dai capelli biondi che si è presentata come Beatrix e un uomo, Heric Walker. Non so chi siano, né che rapporti abbiano con Wilfred, però era lampante che fra loro intercorresse un'intesa dalla quale ero esclusa.
Ho lottato contro la paura, non ho ceduto al panico anche mentre sentivo le gambe diventare pesanti o vedevo quella povera gente scivolare nella voragine, non ho mai gridato, ho cercato di ragionare con lucidità.
La creatura era mostruosa, soprattutto perché aveva le fattezze di una bimba, era osceno guardare l'immagine della purezza insozzata da un male oscuro, che scivolava nelle ossa sotto forma di gelo, che era in grado di bloccare persino i movimenti dell'acqua e di svanire, come nulla fosse per possedere un ragazzo fra i tanti, per muoverlo come un burattino dalle labbra cucite.
Ho sostenuto la visione per pochi secondi, tremando, l'essere mi ha definita 'agnellino', come fossi una creatura delicata, in balia degli eventi ed aveva ragione.
Sono rimasta a rigirare la carta dei Tarocchi fra le dita, udivo appena i discorsi di Wilfred e degli altri, non saprei ricordare una sillaba, tranne che tutti si sono accertati che stessi bene, quasi fossi un belante agnello scampato al sacrificio.
«Mi spiace, Enid.» ha mormorato Wilfred, guardando la strada avanti a sé: «Non vorrei esporti a certe cose.»
Sono rimasta silenziosa, sarebbe stato facile metterlo in difficoltà, ma non lo desideravo: «Clarice Cooper è morta, però l'ho vista benissimo, abbiamo parlato. È un fantasma, non puoi negarne l'esistenza, perché ha fatto tanto per noi.» ho fatto notare con un sospiro: «Esistono esseri che io non conosco. Vivono in qualche maniera, si muovono attorno a me. Non ho gli strumenti per catalogarli, ciò non toglie che siano irreali. Se fossero tutti come Clarice Cooper, non avrei paura.» ho sorriso tristemente.
«Già.» ha replicato lui: «Se fossero come Clarice, nessuno avrebbe da temere.» si è voltato a fissarmi, voleva andare oltre, si è trattenuto a stento. Conosco, ormai, i movimenti impercettibili delle sue labbra, lo sguardo che si adombra nel dubbio. «Ne esistono di altri. Non dovrebbero essere attorno a te, o meglio tu non dovresti essere una loro vittima. Dovresti poter vivere in pace.» era assurdamente alterato, come se dipendesse dalla sua volontà.
«Dovremmo vivere in pace tutti.» ho ribattuto: «La Terra è popolata di brave persone e di cattive persone, può succedere che una brava persona soffra per le azioni malvagie di un'altra. È così dall'alba dei tempi, Wilfred, non puoi fare molto per proteggermi dal mondo.» ho abbassato la testa: «Ma apprezzo il tentativo.» ho concluso.
Non ha ripreso l'argomento, siamo arrivati davanti alla mia casa e lui ha insistito per entrare, anzi per varcare la soglia prima di me, trovandosi con le zampe di Gitel sull'ustione.
«Puoi restare.» ho proposto, francamente non ero dell'umore per essere maliziosa, per alludere a un contatto più intimo fra noi.
Ha borbottato alcune parole sconclusionate, si è arreso senza fare resistenza.
Ho preparato del tea, mentre lui era a rinfrescarsi, ho pensato a quanto fosse rassicurante la prospettiva di averlo vicino, quanto mi piacesse essere considerata importante da lui, poi ho rivisto la carta e mi sono chiesta se potevo essere qualcosa di più dell'amica da proteggere, della delicata creatura da preservare.
Non avrei mai creduto che arrivasse a farsi la doccia in casa mia, ne è uscito con una maglietta a maniche corte, i jeans, i piedi scalzi ed i capelli fradici.
«Perdonami, spero di non averti dato troppo fastidio.» ha avuto la sfacciataggine, perché di quella parliamo, di chiosare con ammirevole imbarazzo simulato: «Ho ripulito la vasca, piegato gli asciugamani che mi avevi prestato, mi pare sia tutto in ordine.»
Tranne i miei ormoni, suppongo che avesse ragione e per un attimo, ho rimpianto il freddo innaturale delle ore precedenti.
Il bagno, comunque, sembrava pulito da un'impresa di colf maniache dell'igiene. Ho sentito appena il suo odore, ma l'ho scacciato con un getto tiepido sulla testa.
Wilfred Mott, moderno cavaliere, si è sistemato sul divano senza chiedere cuscini o coperte ed io sono andata in camera con Gitel, che forse si chiedeva perché restassi sdraiata al buio, invece che alzarmi e tentare di... Sedurlo?
Non ho imparato le regole del gioco, né possiedo la capacità di rendere 'il mio corpo un'arma', come sperticava ai quattro venti Emma, anche se non le ho mai dato peso... Andiamo, questa è la vita vera, non siamo a Westeros e nessuna di noi è Cersei Lannister, per fortuna!
Ad ogni modo, ho preso un paio di pastiglie della signora Mason, sono caduta in un sonno impenetrabile per ore, alla fine, Wilfred è arrivato a svegliarmi perché intendeva tornare a casa.
Aprire gli occhi e vedere il suo viso è stato meraviglioso, gli ho sorriso senza riuscire ad aprir bocca.

giovedì 11 giugno 2015

Fear

La signora Mason si è mostrata molto comprensiva, ha portato i gemelli da me ed è venuta a prenderli, finito il turno all'ospedale. È riuscita a procurarmi dei sonniferi, sono abbastanza forti, spesso la mattina faccio fatica ad alzarmi, se non fosse per Gitel rimarrei a letto sino a mezzogiorno.
I lividi sul collo sono freddi, li tengo nascosti come meglio posso, ho l'immagine dello stagno nebbioso nella testa, posso distrarmi ma rimane in un angolo, a ricordarmi che c'è qualcosa di oscuro al mondo.
Wilfred sembra conviverci con serenità, come se fosse riuscito a incasellare l'evento in un contesto che io ignoro, nei suoi messaggi non fa alcuna menzione alla figura ammantata, a Clarice Cooper, tenta di distrarmi e può darsi stia facendo la cosa giusta, anche se vorrei soltanto una spiegazione.
Non riesco a chiedere, ho timore della verità. Devo assolutamente scuotermi, andare avanti con la mia vita o finirò per blindarmi in casa, isolandomi da tutti.
Wilfred mi ha proposto di uscire, ho accettato. Avrei potuto insistere perché restassimo in casa, invece ho scelto di allontanarmi un po' da queste quattro mura.
C'è una cosa che ho imparato, a caro prezzo: la forza per alzarsi arriva da dentro, dalla nostra capacità di reagire, possiamo cercare aiuto e conforto, ma il peso grava su di noi e così la scelta se farsi condurre o prendere la propria strada.
Io ho commesso parecchi sbagli, in passato, ne porto i segni sul corpo e nell'anima ma ho sempre deciso cosa fare e stavolta non farò eccezione.

lunedì 1 giugno 2015

Gift

Ho conosciuto Marlene Archer. È una donna piacevole, brillante e ha saputo consigliarmi sul modo in cui possa aiutare Wilfred. Non ha superato la morte della sua allieva, riesco anche a ipotizzarne le ragioni: la ragazzina è stata uccisa, perciò la profonda ingiustizia ancora impunita lo tormenta, la sua famiglia è stata investita da una spirale di sofferenza e di distruzione, perché un lutto tanto crudele lascia cicatrici su troppe persone. Non c'è un modo per sopprimere la sofferenza, la si accetta quale parte dell'anima, si va avanti.
Il regalo per Wilfred è finito nella cassetta della posta, davanti alla staccionata, all'alba e da allora, non ho ricevuto notizie.
Conosco la sua riservatezza sul piano personale, non escludo di essergli sembrata invadente, di averlo infastidito, eppure non era mia intenzione e lui è abbastanza sensibile da comprenderlo, inoltre sa perfettamente chi sia, come cerchi di confortare gli amici.
Qualcosa dentro di me si ribella, vuole smetterla di pensare e di agire in sua funzione; qualcosa dentro di me cerca molto di più e tenta di scrollarsi via questi sentimenti senza alcuno sbocco.
Potrei trovare un altro ragazzo, diverso o simile a Wilfred e potrei amarlo. Potrei diventare solamente un'amica affezionata, forse saremmo entrambi più sereni, più sinceri ma non ci riesco, resto aggrappata a fioche speranze, a timidi gesti che culminano in illusioni e può darsi che sia io ad aver paura di affrontare il futuro, può darsi che stia cercando di restare in limbo rassicurante, dove non mi confronto con nessuno.
Sono confusa, non so cosa aspettare e se attendere o lasciare che sia. Vorrei potermi confidare con qualcuno, ma ho solo Gitel in questa città, finora non me ne ero accorta, finora non mi era pesato.