And the heart is hard to translate
It has a language of its own
It talks in tongues and quiet sighs,
And prayers and proclamations
In the grand days of great men and the smallest of gestures
And short shallow gasps.
It has a language of its own
It talks in tongues and quiet sighs,
And prayers and proclamations
In the grand days of great men and the smallest of gestures
And short shallow gasps.
Enid
ha imparato, sulla propria pelle, a non rischiare, non sarà una
serata sul balcone con la paura di correre in casa per un rovescio
improvviso di pioggia. Ha sistemato il soggiorno, sul basso tavolino
ha appoggiato una torta gelato, comprata in pasticceria, piatti,
bicchieri e posate, lo schermo televisivo è spento, lo rimarrà a
lungo considerando gli ultimi avvenimenti, riflette come uno specchio
scuro i movimenti della ragazza fra i due divani dai colori neutri,
ravvivati da coperte di cotone variopinte, la porta finestra che
immette nel giardino della villetta bi-famigliare, l'ampia vetrata
sulla sinistra, i mobili in legno chiaro, limitati a una piccola
scrivania, alcune sedie, un mobile per la TV, il lettore DVD e lo
stereo ed infine, una scaffalatura a ridosso del divano, dove sono
sistemati alcuni libri, un bonsai e un'altra tovaglia dai colori
vivaci, che si affaccia sull'ingresso. Enid ha raccolto i capelli
castani in una coda, sul collo spiccano i lividi in via du
guarigione, bluastri con venature gialle; il volto dai lineamenti
delicati fa spiccare gli occhi verdi come il mare dallo sguardo
profondo, espressivo e le labbra rosate, indossa un pigiama estivo,
perché ormai conosce Wilfred, non avrebbe senso imbellettarsi per
aprirgli la porta con mosse seducenti, riuscirebbe soltanto a farlo
allontanare o peggio, scoppiare a ridere, perciò è comoda con un
paio di infradito bianche ai piedi, le gambe nude da sopra le
ginocchia arrossate dagli ematomi, la parte inferiore del pigiama è
composta da pantaloncini corti con piccoli gufi neri dagli occhi
gialli stampati, lo stesso motivo riportato sulla parte superiore,
una semplice maglietta bianca a maniche corte. Arrivata alla porta,
darebbe un rapido sguardo allo specchio, prima di aprire.
Wilfred
suona il campanello per accedere alla casa, si è guardato le spalle
per tutto il tragitto e non ha notato niente di allarmante, sa di
essere seguito dagli Uprooted e dai Mannari ed è consapevoli che lo
stesso valga per Enid, non è questo a turbarlo, non sono loro a
costituire dei pericoli. Incassa i colpi, le tragedie dell’esistenza
con cristiana rassegnazione: è la strada che ha scelto di
percorrere, non vuole e non può tornare indietro, chiudere gli occhi
sulla verità, la sua unica ritrosia riguarda gli innocenti coinvolti
nella sarabanda di Sunnydale, specie quelli che getta lui nell’arena.
Rimane in attesa, non si aspetta che ad aprire sia una donna fatale,
non lo gradirebbe affatto, scorgere il sorriso di Enid è un sollievo
che scioglie l’ansia della giornata, non può che risponderle con
gli angoli della bocca che si sollevano, con gli occhi che ricambiano
la contentezza, passa la mano sinistra fra i capelli castani, sono
cortissimi riccioli che si annodano attorno alle dita, inclina il
collo. «Ciao.» dice con voce profonda, sfumata a una dolcezza
spontanea, rara con alti. Gli occhi azzurri hanno una tonalità
scura, simile al grigio. È divertito da quella buffa stampa, dal
gufo dai grandi occhi gialli. Lui ha un abbigliamento meno casalingo:
pantaloni di tessuto leggero color petrolio, camicia bianca dal
colletto sbottonato, scarpe nere robuste, un giaccone verde militare
ed un paio di occhiali sul naso. È un uomo, non un ragazzo, la
maturità si legge nello sguardo, nei movimenti fluidi, un’ombra di
barba percorre la linea della mandibola, circonda la bocca senza
nasconderla. «Sei andata alla pista di pattinaggio?» domanda, china
lo sguardo sulle gambe per notare i segni delle cadute, appare
piuttosto ironico.
Enid
arriva alla soglia con Gitel che abbaia con furia tanto da sembrare
un molosso da guerra, non appena può raggiungere Wilfred, si placa
subitamente per scodinzolare festosa. Enid non ha cercato di
zittirla, la donna al piano superiore è un'anziana infermiera, avere
un cane da guardia è utile. Non resta sulla soglia a lungo, il tempo
di salutarlo: «Ciao.» arretra scrollando le spalle: «Sono caduta,
ma ho incontrato un ragazzo simpatico, si chiama Bastian.» gli
racconta, la sua voce sottile è sempre gentile: «Lui pure non
sapeva pattinare, ma ce la siamo cavata.» conclude. È una parola
grossa, lei sarebbe rimasta a bordo della pista sino alla fine dei
suoi giorni, non fosse stata spronata dal Lupo Mannaro in umane
spoglie. «Entra, ho preso una torta che sembra molto buona.» si
sporge per chiudere il battente: «Se non ci spicciamo, finirà tutta
nello stomaco di Gitel.» arriccia il naso. Gli indica
l'attaccapanni, però Wilfred conosce la casa e non ha bisogno di
essere guidato, di essere condotto, ritorna in soggiorno per
sincerarsi che il cane non abbia lappato il dolce. «L'altra sera
sono stata alla libreria di Marlene.» si volta per guardarlo,
sorride. «C'è stata quella tremenda interferenza nei programmi,
forse non hai avuto modo di vederla: abbiamo udito la voce di una
ragazzina pregare in latino, quasi certamente ha invocato Michele.
Per un attimo, un secondo soltanto abbiamo visto Jody in lacrime, poi
è tornato tutto come prima.» conclude il resoconto, ha la dovuta,
composta serietà. Non siede, si piega per tagliare due fette e
distrarsi da quel ricordo angoscioso.
Wilfred
entra completamente per coccolare Gitel con un sorriso ancora più
aperto e più gioioso sul volto, ma poi la cagnolina precede la
padrona, sfila il giaccone ma fa scivolare un piccolo involto di
velluto blu nella tasca dei pantaloni, si schiarisce la voce. «Non
saper pattinare è una buona scusa.» ribatte con serenità: «Io
l’ho usata parecchie volte con le ragazze.» non osa mettere in
dubbio la sincerità di Bastian, non può definirsi geloso o forse,
non vuole ed è una strana, fugace sensazione che lo pervade, sposta
il viso e aggiusta gli occhiali per tenersi occupato. È presto
costretto a concentrare la mente su altre questioni. «Vorrei
tradurre le sue parole e posso dirti che Jody non parlava latino con
tanta dimestichezza. Io non capisco cosa stia a significare, tutto
ciò e nemmeno come arrivare al nodo, al bandolo della matassa.
Forse, quando accadrà per Jody sarà tardi.» solleva la mano
destra, prevenendo obiezioni: «Sono consapevole di non avere alcuna
colpa. Non sono tormentato da un desiderio di espiazione, io vorrei
fare in modo che una vita innocenti rimanga tale, vorrei vedere una
famiglia riunirsi. Vorrei ci fosse un poco di giustizia in più nella
città.» abbassa il braccio con un respiro profondo che esce dalle
narici. C’è frustrazione ed ansia nel tono. Si accosta alla
ragazza per sbirciare il dolce. «Mi spiace.» soggiunge, non ha
colpa della visione e non ha colpa di tante altre cose avvenute, ma
si scusa di nuovo.
Enid resta piegata, il dolce è una torta ovale con una base di
pandispagna, uno strato di cioccolato fondente, uno di cioccolato al
latte e una generosa porzione di panna su cui sono stati sbriciolati
pezzi di cioccolato gianduia. È il paradiso sotto forma di dessert e
l'accompagna con una scelta di bibite alcoliche e non. «Non devi
dirlo: l'abbiamo visto tutti quanti.» solleva la testa per
sorridergli con calore: «Non sentirti colpevole per Jody e non
sentirti colpevole per me.» prosegue, il tono rimane sicuro, senza
eccessiva enfasi. «Sono una persona adulta, come ve ne sono altre e
in quanto tale, sono responsabile di me stessa e non vorrei che fosse
altrimenti.» posa una generosa porzione sul piatto, allunga una
scaglia di cioccolato a Gitel, che quasi le mangia il braccio intero,
senza lavarsi le mani, riprende a maneggiare il cibo candidamente.
«L'oscurità ci circonda, alcuni hanno l'opportunità di vederla ed
altri riescono a evitarlo. È una scelta, talvolta e altre è
inevitabile ma non dipende da nessuno, se non da noi stessi.» si
raddrizza per porgergli il piattino con forchetta, tovagliolini di
carta, come si conviene. «Non voglio che tu abbia da portare dei
pesi a causa mia, perché non hai portato alcun male.» socchiude la
bocca, sembra scartare almeno un paio di frasi. «Sei un amico. Hai
rischiato la vita per proteggermi, mi hai fatto compagnia, mi hai
confortata, mi hai ascoltata. Non rimproverarti niente e resta
tranquillamente. Io desidero soltanto che tu stia bene.» c'è una
dolcezza persino languida nel tono, ma possono essere
l'incoraggiamento di un'amica sincera, cosa che lei è.
But with all my education I can’t seem to command it
And the words are all escaping, and coming back all damaged
And I would put them back in poetry if I only knew how
I can’t seem to understand it.
And the words are all escaping, and coming back all damaged
And I would put them back in poetry if I only knew how
I can’t seem to understand it.
Wilfred
non è un dolce a cui si possa dire ‘no’. «Ha uno splendido
aspetto.» commenta. Non è esageratamente goloso, sa apprezzare la
buona tavola. Prende il piatto, aspetta che Enid sia servita e
accomodata per imitarla. «Non tutto è semplice come appare.»
replica in tono asciutto, non vuole sbottonarsi troppo
sull’argomento, sa che potrebbe farsi sfuggire dei dettagli
inopportuni. «Io non vorrei parlare di quante mostruosità abbiamo
veduto, di come conviviamo con esse. Non stasera.» afferma ed è
piuttosto categorico, la voce diventa dura quanto lo sguardo ma tutto
ciò perdura una manciata di secondi. «C’è un Rifugio per animali
fuori da Sunnydale. Andrò a cercare un cane, la prossima settimana.
Se ci fosse internet vedrei le foto sul sito, ma oggi non abbiamo
avuto neppure i quarantacinque minuti per svuotare la casella email
dallo SPAM.» sbotta esasperato. «Tu non sai quanto sia scomodo
avere registri unicamente cartacei, a scuola. Ho una quarantina di
studenti che affrontano cinque test scritti e due interrogazioni
orali a semestre, ricordare le date, le esitazioni è impossibile,
devo appuntare qualsiasi banalità. In passato, era così ma non era
il metodo che avevo imparato. Lo stesso programma è stato consegnato
in una busta chiusa, come fosse una lettera.» fa una smorfia,
sospira solo dal naso. «Se non bastasse, ai consigli scolastici
sembra di stare in un manicomio. Non si pretende ordine militare in
un liceo, adesso, diciamo agli studenti di conservare i quaderni
conclusi, casomai servisse consultarli.» spiega all’amica. Pare
che stia affrontando una battaglia epica, deve portare i voti di fine
anno. Jeremy per prenderlo in giro, dato che è nervoso, gli ha
regalato i numeri della tombola. «Non penso che tu sia un vittima
passiva, incapace di reagire, di vedere, di comprendere perché ti ho
vista combattere, mantenere la lucidità e non ti prendo in giro, non
ti chiudo gli occhi e non perché non possa ma perché io non
desidero farlo. Sei una ragazza intelligente, forse la più brillante
che abbia incontrato e non potrei mentirti: lo capiresti. Ti
deluderei e non voglio neppure questo.» soggiunge, stira le labbra
in un sorriso. Prende un pezzo di cioccolato, lo porge a Gitel, che è
giuliva come fosse la mattina di Natale.
Enid
ridacchia. «Mi ha guardata seducente dalla vetrina.» commenta,
prende una fetta più sottile e siede sul divano, Gitel resta vicino
ai due per ovvie ragioni. «Ci sono anche cose semplici e un uomo che
dice di non saper pattinare, non sa realmente pattinare.» ritorna al
discorso precedente con un leggero sorriso. Accavalla le gambe, il
piede destro finisce ad accarezzare l'aria in un movimento annoiato.
«Era un bell'uomo, simpatico e un po' imbranato. Credo ci siano
tante persone simpatiche in città.» afferma con ottimismo, prende
un po' di torta mentre lo ascolta. Annuisce piano. «Io devo firmare
la petizione per l'acquisto di 'Hannibal' da una rete cable. Firmerai
anche tu.» lo indica fugacemente, non ha diritto di manifestare
dissenso o peggio, pensare di rifiutarsi. Minimizza, non serve
amplificare i problemi con lui. «Vedrai che per l'Inverno saremo
salvi.» chiude la sua riflessione. Riguardo al Rifugio, sorride
allegramente. «Ottima idea, mi pare strano vederti senza quadrupedi.
È come se ti mancasse una parte importante e non hai ragione per
privartene.» dice convinta. Gli fa cenno di accomodarsi. «Wilfred.»
fa un profondo respiro: «Io ho ricevuto un incarico importante da
Marlene, vorrei spiegarti cosa sia successo.» vorrebbe guardarlo in
viso per parlargli.
And I would give all this and heaven too
I would give it all if only for a moment
That I could just understand the meaning of the word you see
‘Cause I’ve been scrawling it forever but it never makes sense to me at all.
I would give it all if only for a moment
That I could just understand the meaning of the word you see
‘Cause I’ve been scrawling it forever but it never makes sense to me at all.
Wilfred
assaggia a sua volta. Va a sistemarsi sul medesimo divano occupato da
Enid, l’affianca sulla sinistra ma non dà altro cioccolato a
Gitel, l’accarezza con un sorriso bonario. Mastica, deglutisce,
stappa una bottiglia di acqua frizzante per riempire il proprio
bicchiere, sa che l’amica opterà per il tea. «Sono sicuro che
dici il vero.» risponde volgendo lo sguardo sulla ragazza: «Però,
non ci sarebbe nulla di strano, se avesse cercato di attaccare
bottone. Sei una bella ragazza, sei brillante, sei simpatica senza
essere invadente. Immagino che la penuria di buon gusto, sia la sola
ragione che spinga i ragazzi verso altri soggetti.» parla con la
massima calma, anche se i pensieri riprendono ad addensarsi. Non ha
tempo per analizzarli, forse non ne ha il coraggio. «Vorrei
apprezzassi la mia educata finezza.» stavolta, il sorriso è
ambiguo. Arcua le sopracciglia, ricambia lo sguardo con serietà. «Ti
ascolto.» assicura, mastica un boccone. L’immaginazione non lo
conduce alla verità, le idee rimangono vaghe.
Enid
affonda i denti della forchetta negli strati. Trova inutile indugiare
oltre, intende andare dritta al punto. «Sono entrata nella libreria,
Marlene guardava la TV. È in quel momento che abbiamo sentito la
preghiera, che abbiamo visto Jody e io ero sconvolta.» ammette, ma
non abbassa il viso, non si vergogna di aver provato timore. «Marlene
è stata gentile, mi ha calmata e mi ha raccontato una storia: quando
le porte dell'Inferno furono aperte, la gloriosa Legione di Michele,
Principe degli Angeli, discese sulla Terra per aiutare i coraggiosi a
combattere i Demoni, ansiosi di disperdersi sulla Terra.» ha un tono
solenne, sembra sia tornata al tavolo del Gioco di Ruolo. «La
battaglia era sanguinosa, tanto che Michele dubitò che i suoi
fratelli venissero salvati, sacrificando due delle sue sei ali,
radunò gli Angeli e li mise al sicuro. Tornato indietro, cadde in
mano ai nemici, ancora adesso, giace all'Inferno, in attesa di essere
liberato.» termina, si sporge per prendere il tea verde freddo.
L'impresa vale tremila punti, non sono accettati gli adoratori di
Satana, equipaggiamento a scelta del giocatore. Non lo pensa neppure,
lei architetta trappole mortali. C'è un angolo oscuro nella sua
anima innocente, c'è in qualsiasi master. «Marlene è Azrael,
l'Angelo della Morte. È in questa città perché vuole liberare
Michele, non è la sola e nel mentre, proteggono la Creazione dalla
malvagità.» deglutisce un sorso: «Io sono venuta in contatto con
questa crudeltà, sono un'Umana e per Azrael sto rischiando più del
lecito, per questo motivo, ha deciso di pormi sotto alla sua
protezione. E io ho accettato.» ispira, espira, si china per avere
le mani libere: «Ha parlato di Clarice, lei nel proteggerti sta
mutando in una creatura celeste, diventerà un Angelo. Lo diverrà
perché è buona, perché è forte ed è coraggiosa.» infila la mano
sinistra nella tasca dei pantaloncini, estrae una piuma azzurra di
color argento sfumato sulle punte: «L'ho vista con le sue ali, due
sono spezzate e quattro si aprono, pronte a sollevarsi in volo. Tieni
questa piuma con te, Wilfred, proteggerà entrambi.» l'allunga e per
tutto il tempo non ha mostrato esitazioni, imbarazzi, indugi. Sa cosa
ha visto, sa cosa sia reale.
Wilfred
ascolta, niente che non abbia già appreso e allo stesso tempo,
sentirlo dalla voce di Enid ha uno strano effetto sul suo umore.
Perde il sorriso, l’appetito. Appoggia il bicchiere, il piatto e si
alza in piedi. È vagamente rincuorato dalla sorte che attende
Clarice. «Avrei voluto si diplomasse, andasse all’Università,
conoscesse la sua condizione umana, la sentisse propria. Qualcuno le
ha strappato l’occasione di essere una donna, le danno
l’opportunità di essere un Angelo, attraverso nuovi sacrifici.»
ritorna ad avere un tono duro, ma non ostile. «Tu sei stata
aggredita, sei stata spaventata e un Angelo pone le ali sopra di te.
Dovrebbe essere questa, la perfetta giustizia?» domanda, contrae le
labbra in una smorfia. «Io non riesco a comprendere. È questo il
massimo a cui si possa aspirare?» prende la piuma fra le dita.
Percorre la lunghezza del divano, avanti e indietro, un paio di
volte, porta la mano sinistra al braccio. Le emozioni sono
contrastanti, non c’è il sollievo aperto che ci si dovrebbe
attendere. «La trovo una cosa buona, Enid.» precisa alla fine: «Non
chiedermi altro. Devo solamente abituarmi. Non al fatto che tu sia
protetta da un Angelo o che Clarice stia per divenirlo… Ti
ringrazio per essere stata onesta, però ci sono troppe cose da
metabolizzare. Tutti questi fattori dovranno far parte della nostra
quotidianità.» scuote il capo: «Ho qualcosa per te, ma non ti
proteggerà. È un banale regalo.» usa la mano destra per prendere il
piccolo sacchettino di velluto blu chiuso con una nastrino dorato, al
suo interno è sistemato un piccolo gioiello composto da una sottile
catenella d’argento a cui è appeso un ciondolo ovale al cui centro
è incastonato cristallo Swarovski arcobaleno, simile all'Arkengemma,
attorno ad essere sono intagliate delle rune a comporre il nome
“Enid”, sul retro del ciondolo in caratteri normali è aggiunta
la frase: “Luce, tu sei per il mondo” . Lascia che sia la ragazza
a scoprirlo, mentre si chiude nel silenzio e piega le ginocchia per
coccolare Gitel.
Enid
non gli ha detto di essersi sottomessa a un Vampiro, può cercare di
comprendere la sua inquietudine ma non l'incoraggia. «Wilfred.»
prosegue a mangiare la torta: «Non devo scoperchiare l'abisso, non
ho una Schiera di Angeli alle costole. Abbiamo parlato del fatto che
esistono buone e cattive creature. Io sono stata avvicinata da una
persona benevola ed è una persona unica ed irripetibile, come lo
siamo noi. Sono rimasta sconvolta, al principio, ma ho pensato a
quanto fosse rassicurante che qualcuno si opponesse a quei mostri.»
cerca di spiegarsi, purtroppo non ha un'opinione elaborata in merito:
«Non è una giustizia perfetta, non è il massimo a cui si possa
aspirare, però noi viviamo oggi e dobbiamo accettare quanto ci è
stato offerto: io penso che Marlene possa diventare una mia amica.
Non perché sia l'Angelo che mi guarda le spalle, ma perché è
simpatica, perché sa ridere e ha perso anche l'uomo che amava.
Chiunque sia, voglio che sappia di potermi chiamare per commentare un
serial o per confidarsi... Non si diventa amiche con un gesto, noi
non lo siamo ma lei mi piace.» conclude. Mantiene il dialogo su
fatti pratici, legati alla vita di ogni giorno, ha poca voglia di
incasinarsi, adesso che ha un barlume di quiete. Posa il piattino, il
bicchiere è vuoto: non spreca il tea e si trova un regalo.
«Wilfred.» ripete il nome con dolcezza: «Grazie.» aspetta di aver
tolto la collana dal fagottino di velluto per sorridere commossa,
emozionata, gongolante. «Ma è stupenda!» esclama ammirata. Passa
le dita sulle rune, sul cristallo, volta il ciondolo e serra le
labbra per non lasciarsi sfuggire parole inconsulte. «Tu hai una
vaga idea di quanto volessi una simile meraviglia?» alza la voce,
euforica. L'autocontrollo viene meno, mentre lui è intento a
divertire Gitel, lei cerca di allargare le braccia per cingerle
attorno al suo collo.
Wilfred
avere a che fare con gli animali, lo rilassa e mano a mano che resta
a contatto con Gitel, si placa per sorriderle nel vedere quanto
apprezza il suo dono. Non che sia andato totalmente alla cieca. «Ti
auguro di trovare un’amica così.» acconsente, non ha altro di
sensato da dire e poco dopo, si trova col peso della ragazza addosso.
Il contatto è tutt’altro che spiacevole, Enid ha un tepore
rigenerante, scioglie ogni tensione, sgombra il cielo dalle nubi.
Avverte una fitta al braccio sinistro, eppure ricambia. Stringe
contro di sé il corpo di Enid, gracile e delicato ma non debole.
Deglutisce, vorrebbe lasciarla andare, vorrebbe tenere le distanze di
sicurezza, stavolta non ha alcun controllo sulle emozioni, ben
conosce l’ebbrezza, il languore a cui si abbandona il buon senso. È
perfettamente consequenziale, cercarne il viso con la mano destra,
sfiorarne appena il mento e poi tentare di accarezzarne le labbra con
le proprie, un bacio lieve, un contatto premuroso, un riguardo
naturale per non turbarla, per non passare il segno. La sua mano
scivolerebbe sino alla nuca, massaggiandole il collo.
Non
indugerebbe, per quanto ne avverta la necessità con la ragazza
praticamente sulle proprie gambe. Scosterebbe lentamente il viso, il
naso sfiorerebbe quello di Enid in maniera giocosa, le labbra si
poserebbero sulla guancia. «Devo andare.» bisbiglia al suo
orecchio: «Sono contento che l’Arkengemma sia custodita da te.»
soffoca una risata. Non ha ragione di mostrarsi pentito, non lo è
affatto. Sa che non è il momento di ragionare, di analizzare la
situazione, si limita a viverla ed è la più bella, la più
emozionante da che sia arrivato a Sunnydale. È un momento perfetto:
c’è soltanto Enid, la sua casa accogliente e Gitel che li osserva,
uno scenario in cui svanisce l’angoscia ma lui non ha vent’anni. Si
ritrae con garbo, premurosamente vorrebbe sollevare Enid per
lasciarla sul divano: «Devo andare.» ripete e l’emozione, rende
la voce quieta, amorevole. «Buonanotte.» aggiunge.
Enid
ha il cuore che batte come un tamburo, sembra voglia salire in gola,
Wilfred non può ignorarlo e ogni centimetro di pelle che tocca è
percorso da un brivido, sente i muscoli tendersi nell'incontrare il
suo sguardo, poi abbassa le palpebre, socchiude le labbra e quello è
il bacio più dolce e agognato della sua vita, al contempo è il più
puro. La passione non spinge alla fretta, sembra cristallizzare
quell'istante, amplificando l'intensità di ogni sensazione, il
solletico della sua barba, la morbidezza della bocca ed il suo
sapore, il tessuto della camicia sotto i polpastrelli, il profumo
fresco del dopobarba che invade i polmoni, il suo petto che sembra
martellare quanto il proprio. Porta le dita ai capelli, soffici
riccioli castani che la imprigionano. Ride piano al suo bisbiglio.
«Va bene.» mormora, vuole l'esatto opposto e sa che non sarebbe il
momento opportuno per se stessa e per lui; sente che la tranquillità
in cui sono immersi sembra destinata a durare. Cerca di sollevargli
gli occhiali con la mano libera per poi accarezzargli il viso ed il
collo. « La terrò bene in vista, perché mi ricordi chi per primo
mi ha salvata.» dice sorridente, allenta la presa gradualmente, se
lui dovesse farla sedere sul divano, non avrebbe obiezioni, si
alzerebbe per accompagnarlo alla porta con la collana in mano e Gitel
a fianco. Gli aprirebbe la porta, gli poserebbe un bacio sul collo.
«Buonanotte.» sarebbero le sue ultime parole, mentre sente che il
Paradiso si è avvicinato al mondo di qualche centimetro.
No, words are a language
It doesn’t deserve such treatment
And all of my stumbling phrases never amounted to anything worth this feeling
All this heaven never could describe such a feeling as I'm hearing
Words were never so useful
So I was screaming out a language that I never knew existed before.
It doesn’t deserve such treatment
And all of my stumbling phrases never amounted to anything worth this feeling
All this heaven never could describe such a feeling as I'm hearing
Words were never so useful
So I was screaming out a language that I never knew existed before.